Tu chiamale se vuoi, emozioni
Negli ultimi anni c’è stata una riscoperta commerciale delle emozioni. Serie di successo come “Lie to me”, con protagonista un grande Tim Roth, e enormi successi al botteghino da parte della Pixar, con “Inside/Out”, hanno sottolineato alcune cose importantissime, proprie del genere umano.
Per esempio che tutti proviamo delle emozioni. “Non provo niente” è una frase che sentiamo spesso dire ma a conti fatti non è possibile non provare niente, si prova sempre qualcosa, al limite non riusciamo a entrare in contatto con una determinata emozione per i motivi più disparati e, nei casi più gravi, andiamo a parlare di “sociopatia” ma questo è un argomento più complesso che va inserito in un altro contesto.
Che ci sono due tipi di emozioni, quelle “base”, ovvero quelle emozioni che provano tutti gli esseri umani del mondo e che sono appunto alla base per quelle “secondarie” che invece sono strutturate a seconda della cultura e della società in cui viviamo e che poggiano le fondamenta sulle prime.
Paul Ekman è un grandissimo della psicologia, ha passato una vita intera a studiare le emozioni (e tra le altre cose è stato consulente proprio per il film “Inside/Out”, anche se sembra non sia soddisfatto di quello che è uscito fuori… E ci credo, alla fine è pur sempre un cartone animato, non un trattato scientifico) e alla fine ha affermato che esistono 6 emozioni di base: rabbia, disgusto, tristezza, gioia, paura e sorpresa.
In Italia, Stefania Borgo ha passato anche lei una vita intera a studiare le emozioni, e i risultati sono che ne esistono 7 di emozioni primarie: ansia-paura, rabbia, tristezza, rifiuto-disgusto, dolore, gioia e piacere.
Tantissimo tempo fa, i comportamentisti ritenevo inutile lavorare sulle emozioni: il comportamento, e il controllo delle variabili, erano l’unica cosa che contava e sulla quale valeva la pena lavorare. Col passare degli anni, lo studio sulle emozioni ha reso, non solo inevitabile, ma centrale la componente emozionale e il lavoro su di essa in ambito terapeutico.
Tutte le emozioni, nessuna esclusa, sono funzionali a qualcosa. La paura, per esempio, nella zebra è funzionale ad attivarsi per poter scappare con tutta la forza necessaria dal predatore di turno. Evolvendo a livello di complessità, nell’uomo le emozioni continuano a svolgere quella funzione regolatrice che ci permette di vivere in questo mondo. Quando le cose, per motivi svariati, non funzionano più in maniera impeccabile, ecco che cominciano i problemi. Gli attacchi di panico, per esempio, altro non sono che una risposta non funzionale della nostra paura che entra in azione troppo presto e troppo forte quando non dovrebbe o non ne avrebbe alcun motivo.
Il modo di lavorare con le emozioni è variabile, dipende dall’approccio del terapeuta e dalla singolarità del paziente. Tra gli aspetti fondamentali, il riuscire a rapportarsi con tutte le emozioni, sia quelle positive che quelle negative, accettarle, capire cosa stanno dicendo di noi, in che modo e cosa possiamo fare per gestirle meglio. Riuscire a trovare di nuovo un giusto equilibrio e uno stato di ritrovato benessere sono tra gli obiettivi principali del lavoro svolto.
Dott. Francesco Battista
Psicologo, psicoterapeuta e sessuologo Roma